domenica 13 gennaio 2008

RFID, informazioni in onda


Nel mese di luglio del 2007, il Ministero delle Comunicazioni, con un suo decreto, e grazie alla collaborazione del Ministero della Difesa, ha liberalizzato le frequenze UHF comprese tra 865 e 868 MHz, destinandole ad applicazioni RFID per uso civile. Gli addetti ai lavori hanno accolto la notizia con grande entusiasmo, affermando che, adesso, l’Italia si è finalmente portata al livello degli altri paesi europei.
Leggo una certa perplessità nei vostri occhi e prevengo la prossima domanda (probabilmente del tipo “Ma che ce ne importa?” o qualcosa del genere): l’acronimo RFID sta per Radio Frequency IDentification, in italiano “Identificazione a Radiofrequenza” e indica una nuova tecnologia che, in effetti, tanto nuova non è. Come spesso succede, infatti, deriva da un’applicazione militare risalente, addirittura, alla Seconda Guerra Mondiale, quando i dispositivi di identificazione a radiofrequenza permettevano di riconoscere gli aerei e le navi amiche. Dal campo militare, poi, negli anni Sessanta del secolo scorso la tecnologia passò ai grandi magazzini, quando ad alcuni articoli erano applicati dispositivi antitaccheggio che, se non disattivati, provocavano un segnale d’allarme al tentativo di far uscire l’oggetto non pagato dal negozio.

La miniaturizzazione, poi, ha prodotto apparati trasmittenti sempre più piccoli, dell’ordine di pochi centimetri quadrati, magari ricavati su etichette autoadesive, e sprovvisti di fonti di energia autonome.
Questi apparati trasmittenti, detti tags o trasponder, trasmettono le informazioni che contengono ad appositi lettori, i reader.
Come è fatto un trasponder? In poche parole è costituito da un microchip, che contiene le informazioni, e può, in certi tipi, comprendere anche un’antenna e una fonte di energia (una batteria, ad esempio). In questo caso si parla di trasponder attivo, perché trasmette autonomamente le informazioni al reader. Per ridurre i costi di realizzazione dei tags, però, è possibile fare in modo che si attivino solo in presenza del lettore e che traggano l’energia necessaria al proprio funzionamento da un campo elettromagnetico prodotto dal lettore stesso: questi sono i cosiddetti trasponder passivi.
Possiamo identificare diverse tipologie di apparati di identificazione anche in base alle modalità di attivazione: avremo così trasponder attivabili, se entrano in funzione solo se stimolati dal lettore. Mai visti? Scommetto di sì … un trasponder attivabile è il Telepass: avete presente quel “bip” che si sente quando ci si avvicina al varco? È l’apparato che entra in funzione; a questo punto si alza la sbarra, il veicolo passa e si sente un nuovo “bip” a segnalare che il nostro Telepass si è disattivato e il sistema ha rilevato, e memorizzato, il passaggio.
Altri apparati trasmittenti, invece, sono a tempo: si attivano, e trasmettono le informazioni, a intervalli predefiniti. Si usano, soprattutto, quando si vuole monitorare costantemente la posizione del trasponder mediante triangolazione: in pratica, si legge la distanza dell’apparato da almeno tre antenne poste a delimitare un perimetro: questa descrizione, forse, ricorderà qualcosa agli appassionati di film e telefilm polizieschi.
Continuiamo con gli esempi e torniamo alla possibilità di avere trasponder di ridottissime dimensioni: questi oggetti possono, veramente, essere applicati a tutto. I passaporti elettronici (e-passport) sono, ormai, una realtà acquisita da quando, nel 1998, furono adottati dal governo malese: il tag RFID contiene, oltre ai dati dell’intestatario, anche la cronistoria dei suoi viaggi all’estero. Paesi come Regno Unito e Stati Uniti hanno iniziato a usare questo tipo di documento nell’ambito della lotta al terrorismo, perché più difficilmente falsificabile.
Come tutti sappiamo, uno dei mezzi di pagamento più usati è il cosiddetto “denaro elettronico”: chi non ha in tasca bancomat e carta di credito? Gli osservatori più attenti avranno notato che sulle tessere di emissione più recente fa bella mostra di sé un piccolo chip, che altro non è che un trasponder. Tesserini e badge RFID per la rilevazione delle presenze sono largamente usati sia nel settore privato che in quello pubblico; a volte si usano anche come strumenti di autenticazione e di identificazione per l’accesso ai sistemi informativi, accanto a quelli più tradizionali a banda magnetica.
I cosiddetti microchip, poi, sono usati anche per l’identificazione degli animali domestici: ad esempio, il tradizionale tatuaggio dei cani può essere efficacemente sostituito dall’inserimento sottocutaneo di un trasponder.
Dell’uso come dispositivi antitaccheggio abbiamo già accennato: a tutti è capitato, ad esempio, di entrare in una libreria e di vedere l’addetto alla cassa passare i nostri acquisti su una piastra metallica. Lo scopo di questa operazione è quello di disattivare il tag RFID e di permetterci di andarcene senza far strillare i sistemi di sorveglianza alle uscite. A volte, negli autogrill o nei megastore, vediamo che, sulla confezione dell’oggetto che abbiamo intenzione di acquistare, c’è un’etichetta col codice a barre … niente di strano, se non che è in rilievo … ebbene, siamo in presenza di un sistema RFID.
Già, perché questi aggeggi a radiofrequenza possono essere abbinati a sistemi di trasmissione delle informazioni di tipo più tradizionale, quali, appunto, i codici a barre e le bande magnetiche. La tecnologia RFID è superiore a entrambe perché il trasponder non deve essere visibile, come il codice a barre, e non deve essere letto per contatto, come la banda magnetica che, a lungo andare, si deteriora … a tutti è capitato che il bancomat si sia smagnetizzato all’improvviso o la carta di credito sia stata dichiarata non leggibile. Nel tag, inoltre, possono essere contenute informazioni crittografate, e quindi si ha un livello di sicurezza maggiore, e le operazioni di lettura e verifica si svolgono in frazioni di secondo.

Le applicazioni sono potenzialmente infinite: particolarmente interessanti, per noi, sono quelle relative alla logistica. Tags possono essere applicati a container, pallets, scatole, permettendo, così, la tracciabilità dei carichi, ma anche a tessere d’abbonamento (ad esempio il sistema Navigo che permette di usare i trasporti pubblici dell’area parigina … l’abbonato sale sull’autobus, ad esempio, e passa la tessera davanti a un apposito lettore, senza la necessità di convalidare il biglietto o di mostrarlo al conduttore) e a bagagli: l’aeroporto di Dallas, che ha abbandonato le etichette con codici a barre a vantaggio di quelle a radiofrequenza, ha visto aumentare di gran lunga l’efficienza delle procedure di smistamento e restituzione delle valige.
Nei magazzini, poi, l’uso di tags RFID permette di ridurre gli errori nei prelievi e di sveltire enormemente i tempi necessari per gli inventari, perché un lettore è in grado di leggere più trasponder contemporaneamente. Il sistema, poi, consente di conoscere sempre i livelli di giacenza e di gestire al meglio i riordini degli articoli scesi al di sotto della soglia di scorta minima.
Insomma, la tecnologia RFID ha un grande futuro, anche se non mancano le perplessità legate, soprattutto, alla tutela della privacy: un reader, infatti, potrebbe leggere le informazioni contenute in un trasponder non disattivato, oppure potrebbe essere possibile tracciare i movimenti di chi indossi, ad esempio, un abito dotato di tag RFID.
Non sono trascurabili, poi, nemmeno i rischi per la salute: le onde elettromagnetiche, anche se a livelli di frequenza e potenza molto più elevati di quelli usati dai dispositivi RFID, infatti, sono agenti potenzialmente mutageni, cioè possono provocare l’insorgere di mutazioni.

Adattamento di un articolo pubblicato sul numero di settenbre 2007 della rivista “Porto e Diporto” della AM editori Srl - Napoli

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