domenica 8 luglio 2007

E-mail e carne in scatola - Prima puntata

È capitato a tutti, rientrando a casa, oppure camminando per le vie della città, di osservare situazioni come quella ben illustrata in fotografia: cassette della posta così piene di dépliant pubblicitari da scoppiare. Come si arriva a tanto? Ci sono agenzie specializzate nel volantinaggio che reclutano ragazzi che distribuiscono questi messaggi porta a porta e, spesso, rispondendo al citofono, sentiamo una voce che dice, più o meno: “Posta pubblicitaria, mi può aprire per favore?”. È una forma di pubblicità largamente sfruttata da centri commerciali, supermercati, negozi per segnalare promozioni o iniziative speciali nelle zone nelle quali operano: seccante fin che si vuole, ma, a parte la quantità di carta che ci obbliga a buttare nella spazzatura, non ci crea, poi, molti fastidi.
I messaggi pubblicitari, poi, arrivano anche per posta ordinaria: chi non ha mai ricevuto cataloghi, lettere, inviti che propagandavano questo o quel prodotto, promuovevano questa o quella ditta? Questa mattina, ad esempio, ho ricevuto due cataloghi e un invito alla presentazione di una nuova collezione di moda. Ad usare questa forma di pubblicità sono, di solito, aziende di respiro nazionale o, almeno, regionale. Come mai riceviamo tutte queste comunicazioni pubblicitarie per posta? Esistono degli elenchi di indirizzi (ad esempio le Pagine Gialle) ai quali chiunque può avere accesso, mentre, in altri casi, siamo noi stessi ad autorizzare l'invio della pubblicità, firmando il consenso al trattamento dei dati personali: spesso, infatti, sottoscriviamo anche il beneplacito a ricevere messaggi pubblicitari e diamo al gestore la possibilità di cedere i nostri dati a terzi.


Poteva mai Internet, con i suoi diversi servizi, essere immune dalla “réclame”? Certo che no: molte pagine web ospitano i cosiddetti “banner”, sorta di striscioni virtuali che ci invitano a visitare siti commerciali. I motori di ricerca, Google su tutti, si basano sugli introiti che derivano loro dalle in­serzioni pubblicitarie, sotto forma di collegamenti sponsorizzati; iscrivendoci a mailing list, acqui­stando sul web o registrandoci a qualche sito possiamo, poi, ricevere per posta elettronica bollettini e messaggi che ci informano sulle ultime novità. È, come dire, una forma di pubblicità “voluta” e dalla quale possiamo sempre svincolarci: basta cancellarsi dalla mailing list o richiedere, con un semplice clic su un collegamento presente nel messaggio, di non ricevere più comunicazioni. Anche in questi casi abbiamo sottoscritto, nel momento in cui abbiamo iniziato ad usufruire di un servizio, o ci siamo registrati su un sito, un'informativa ai sensi del D.Lgs 196/03 che autorizza il gestore dei dati a farne, più o meno, quello che vuole.
Fin qui, comunque, siamo nell'ambito della legalità: chi ci manda la pubblicità non commette alcun reato, né lo fa chi ci satura le cassette postali.
Terminata questa lunga prolusione, che spero non vi abbia annoiati, entro nel vivo del discorso: oggetto di questo articolo sarà lo spamming, ossia quell'attività, ai limiti dell'illecito, se non decisamente fuorilegge, che consiste nell'invio, ad opera di uno spammer, di grandi quantità di email a indirizzi presi a caso o generati in maniera altrettanto casuale.
Cos'è lo spam? è una forma di unsolicited email (email non richiesta), esattamente come certi messaggi di propaganda politica (soprattutto in prossimità delle elezioni) e le catene di Sant'Antonio (“manda 10 copie di questo messaggio a chi ti vuol bene ... se non lo farai nelle prossime due ore, ti capiteranno tutte le sfortune del mondo, tua moglie ti tradirà coll'idraulico e ti uscirà un foruncolo dolorosissimo”). Il tipico messaggio di spam propone al destinatario l'acquisto di medicinali senza prescrizione medica (diffusissimi il Vicodin, un antidolorifico a base oppiacea, certe pilloline azzurre che fanno bene all'amore, tranquillanti e simili), oppure la visita a siti contenenti materiale pornografico (anche di tipo pedofilo) o a casinò online, il conseguimento di lauree ad honorem, l'aumento di dimensioni di certe parti del corpo che, per decenza, non posso nominare e così via.
Curiosa è l'origine del nome “spam”: in realtà si tratta di un popolarissimo (negli Stati Uniti) mar­chio di carne in scatola, prodotto dalla multinazionale Hormel Food ... come mai un prodotto alimentare è passato a identificare una pervasiva e fastidiosa forma di pubblicità? Tutto nasce da uno sketch del gruppo comico inglese dei Monthy Python, nel quale due persone, un uomo e una donna, sono letteralmente calati in una specie di bar-ristorante-tavola calda; chiedono qualcosa da mangiare e la cameriera inizia a proporre solo piatti a base di carne in scatola. Di fronte alle loro evidenti manifestazioni di disappunto, la cameriera si fa sempre più insistente e alcuni vichinghi, con tanto di elmi cornuti, seduti ad un tavolo accanto iniziano a intonare uno sgangherato coro che inneggia alle virtù della Spam; il tono del canto si alza sempre più fino a sovrastare ogni altra cosa. Lo sketch in questione è visibile, con tanto di sottotitoli in giapponese, all'indirizzo
http://tinyurl.com/h9jyv
Con gusto tutto americano per la metafora, il nome del prodotto, così insistentemente ripetuto, è passato ad indicare la pubblicità indesiderata a mezzo email, considerata forse il maggior fastidio derivante dall'uso di Internet.
Qualche notizia tratta dalla stampa di settore ci dà un'idea delle dimensioni del fenomeno. Un recente studio commissionato da Microsoft a Radicati Group (consultabile qui), indica che nel 2009 quasi l'ottanta per cento dei messaggi di posta elettronica circolanti su Internet saranno costituiti da spam, con un incremento di dieci punti percentuali rispetto al 2005. L'aumento considerevole del numero di utenti, e penso ai mercati asiatici in grande espansione, come India e Cina, ha portato a un incremento del traffico postale ma, purtroppo, anche dello spam.


Chi può generare una massa così imponente di email? Sicuramente non singoli computer, per quan­to potenti siano: ecco, quindi, entrare in gioco le botnet, reti “fantasma”costituite da zombies, cioè da computer controllati tramite quei particolari virus che appartengono alla categoria dei caval­li di Troia: un trojan horse è un virus che, attraverso l'apertura di una “porta di servizio” nascosta, permette a un estraneo di accedere al computer infetto per utiliz­zarlo per i suoi scopi. Ecco quindi che lo “spammer” è anche un diffusore di virus, che usa per crea­re e controllare una rete di zombies che faranno il lavoro di invio dello spam. Una tipica botnet può produrre fino a 160 milioni di messaggi ogni due ore. Commtouch Software, una società americana che si occupa di sicurezza, stima che ogni giorno siano attivi in Internet dai sei agli otto milioni di zombies.
Sulla scorta di questi dati risulta quindi evidente che il principale problema connesso alla diffusione dello spam è l'indiscriminato aumento del traffico su Internet e questo ha delle conseguenze: in pri­mo luogo diminuisce la qualità della connessione alla rete, perché una parte della banda è occupata dalla trasmissione di queste email non richieste. Noto lo sguardo perplesso di alcuni di voi ... cos'è la banda? Facciamo un rapido esempio: avete presente i tubi per annaffiare? Più sono larghi più ac­qua passa, giusto? Ecco, la banda di connessione è la stessa cosa: indica la quantità di bit il secondo che passano attraverso la connessione e quindi più è larga, più bit passano, più la connessione è ve­loce.
Non so se ci avete fatto caso, ma nello scorso mese di dicembre, in concomitanza con le festività di fine anno, le connessioni Internet italiane sembravano colte da una sorta di atavica lentezza e, spes­so, non era possibile collegarsi con molti siti che risultavano irraggiungibili; pare che la causa prin­cipale di questo fenomeno sia da ricercare proprio nell'aumento “stagionale” dello spam, che ha su­perato di un terzo quello prodotto nello stesso mese del 2005, almeno secondo quanto dichiarato da Postini Inc., azienda statunitense che si occupa di messaggistica..
Uno tra i più grandi fornitori di servizi per Internet (provider), America on Line, ha calcolato che da uno a due terzi della capacità dei server di posta elettronica sia consumato dallo spam, e questo dato è in accordo con lo studio sopra citato di Radicati, con evidenti costi occulti che nessuno paga, perché questo traffico non è autorizzato dal provider, né voluto dal destinatario, e quindi può essere prefigurato come una sorta di furto. Questo è il motivo per cui gli spammer non sono particolarmente amati dai provider, ed è anche uno dei motivi per i quali, nella legislazione di alcuni Stati, come, ad esempio, gli USA e l'Australia, lo spamming è considerato un reato e, come tale, severamente punito. C'è dell'altro: secondo queste norme è considerato punibile non solo lo spammer ma anche il proprietario del computer da cui sono partite le email, e questo, soprattutto nel caso sia stato controllato tramite un trojan horse, nonostante l'evidente buonafede. L'aver permesso che il proprio elaboratore fosse infettato e usato per l'invio di email non richieste, infatti, è considerato una grave forma di negligenza.
Da un paio d'anni a questa parte gli spammer, se scoperti, finiscono sempre più spesso in tribunale: nel 2005, nello stato del Massachussets, il giudice Reilly, al termine di un processo che vedeva coinvolti sette spammer di varie nazionalità che usavano per i loro scopi server di tutto il mondo, dichiarava: "La loro attività non era solamente noiosa ma metteva seriamente a rischio l'economia e la sicurezza dei cittadini".
Come e perché l'attività degli spammer metta seriamente in pericolo l'economia e la sicurezza dei cittadini sarà oggetto di un prossimo articolo perché, come avrete capito, il fenomeno spam è molto importante e altrettanto complesso.

Adattamento di un articolo pubblicato sul numero di febbraio 2007 della rivista “Porto e Diporto” della AM editori Srl - Napoli
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