lunedì 3 novembre 2008

Open Source in Europa e negli USA: due mondi a confronto


Dal 21 al 24 settembre scorsi si è tenuto, a Parigi, l'Open Source Think Tank Europe. Definire semplice conferenza un think tank è riduttivo: si tratta, infatti, di un “serbatoio di pensiero”, nel quale più persone, indipendentemente dalle loro propensioni politiche o ideologiche, si occupano essenzialmente di produrre informazioni oggettive e previsioni da analizzare per studiare l'andamento di un fenomeno. Sarà, poi, compito degli analisti trarre le conclusioni del lavoro scaturito dal “serbatoio”.
Ospite e osservatore di questo evento è stato Larry Augustin, del quale ho parlato in un mio recente post; due parole possono descrivere il personaggio meglio di una biografia: Sourceforge.net. Larry, infatti, è il cofondatore di Sourceforge, ossia del massimo deposito mondiale di software libero e aperto. Attualmente si occupa di venture capital e siede in numerosi consigli di amministrazione di aziende che producono software open source.
Nel suo blog, Larry descrive quelle che sono le principali differenze tra la percezione che si ha del software open source in Europa e negli Stati Uniti; le sue impressioni, che non hanno alcuna pretesa scientifica, sono derivate dall'esame di numerosi punti di vista, e sono ricavate dalle opinioni di un gran numero di partecipanti all'evento parigino.
Innanzitutto, perché adottare software aperto? Gli Americani, nel loro pragmatismo, ne fanno una questione di costi, mentre in Europa si cerca di evitare un produttore che possa imporre tecnologie proprietarie e chiuse. Così nel Vecchio Continente le linee guida che portano alla realizzazione di software open source commerciali sono legate alla creazione di un'industria del software indipendente dalle grandi software house del Nuovo Continente, mentre negli Usa è la disponibilità di quantità di capitali di ventura che porta al nascere di realtà open source. Ricordo, incidentalmente, che il fatto che un software sia libero e aperto non implica che sia gratuito: è infatti la licenza che non costa nulla, mentre i servizi aggiuntivi possono essere a pagamento.
Da questo diverso atteggiamento deriva, probabilmente, la chiusura europea alla brevettabilità del software, considerato, a mio avviso giustamente, opera d'ingegno e, in quanto tale, non brevettabile. Non dimentichiamo, infatti, i diversi e reiterati tentativi lobbistici per spingere l'Unione Europea a instaurare un sistema di brevetti sul software. Ma questa è un'altra storia, che esula dal tema odierno.
Continuiamo nella disamina delle differenze; anche nell'uso di un sistema a doppia licenza Europei e Americani si dividono: per i primi, infatti, non siamo di fronte a un vero prodotto aperto, ma solo a un mezzo per fare marketing e pubbliche relazioni, mentre di là dall'oceano è considerato il più comune modello di business per il software open source. In questo caso la posizione europea mi sembra sia più integralista di quella americana: un esempio, forse, potrà meglio chiarire il mio pensiero. Sun Microsystem ha acquisito, nella scorsa primavera, la Innotek, azienda tedesca produttrice di VirtualBox, software commerciale di virtualizzazione. Di questo prodotto ne esistono due versioni: una, proprietaria, che è gratuita per studio e uso personale, e una libera, assoggettata alla GNU GPL, sprovvista di alcune funzionalità (la prima che mi viene in mente è il mancato supporto alle periferiche USB). Questa politica della doppia licenza è preesistente all'acquisizione a opera di Sun, quindi è probabile che la versione commerciale fosse la principale fonte di sostentamento economico di Innotek, senza la quale, forse, sarebbero mancate le risorse per la realizzazione della versione libera.
Anche sui canali di vendita le due sponde dell'Atlantico divergono: gli Europei pensano che il principale strumento di commercializzazione sia il canale dei rivenditori, mentre gli Americani prediligono la vendita diretta; vendita sì, ma di cosa? Per gli Europei il core business deve essere basato sulla fornitura di servizi e supporto all'installazione e all'uso, quindi su formazione, customizzazioni, realizzazione di soluzioni integrate, manualistica e simili. Le aziende statunitensi, invece, non credono molto nella fornitura di servizi e preferiscono focalizzarsi sul prodotto, con la commercializzazione di estensioni proprietarie, e quindi closed source, o la realizzazione di versioni enterprise affiancate a quelle libere.
Anche le aspettative su prodotti software open source sono diverse: in Europa un produttore di software aperto rilascerà solo codice open, affidando la gestione del reticolo degli sviluppatori a una comunità di supervisione, mentre negli Usa non sarà necessariamente così, coesistendo, nella stessa azienda, software liberi e software proprietari; il coordinamento dei progetti sarà affidato alla direzione commerciale.
Non dimentichiamo, infatti, che il software open è realizzato, migliorato e aggiornato da comunità di sviluppatori, anche di grandi dimensioni. Molti di questi sono volontari, molti altri sono stipendiati dalle aziende; in tutti i casi, per evitare l'anarchia, è necessario che ci siano delle linee guida da seguire, anche se non sono disincentivate le iniziative individuali. Eric Raymond, in La cattedrale e il bazar, contrapponeva un modello di sviluppo gerarchico, tipico delle grandi software house (la cattedrale), a uno più reticolare, basato sulla creazione di comunità di sviluppatori che seguissero la realizzazione e lo sviluppo del software (il bazar). Il modello a bazar puro è, forse, troppo anarchico e, quindi, soprattutto nelle realtà maggiori e più complesse, è necessaria una comunità di supervisori che indirizzi lo sviluppo.
Dopo aver raccolto queste impressioni, Larry Augustin trae le sue conclusioni: l'Europa, ma anche il resto del mondo, hanno una concezione più avanzata della filosofia Open Source rispetto a quella americana. Negli Stati Uniti la natura aperta del software è quasi irrilevante nelle decisioni d'acquisto delle aziende, quello che conta è il costo. I compratori americani cercano il miglior rapporto qualità/prezzo; l'apertura del codice e la sua accessibilità non hanno, quasi, interesse.
In Europa il concetto è più raffinato: intendiamoci, non è che costi e prestazioni siano ininfluenti, ma si riconosce che è la natura aperta del software a permettere questi vantaggi.
Alle conclusioni di Larry Augustin vorrei aggiungere le mie: costi, prestazioni, indipendenza da soluzioni proprietarie, uso di formati standard, possibilità di accesso al codice sorgente e, perché no, anche sviluppo di risorse locali sono i principali motivi che hanno spinto, e spingono, numerose amministrazioni e aziende europee, sia pubbliche che private, all'adozione di software open source; tutti i giorni si ha notizia di nuove migrazioni, sia parziali che totali, a soluzioni software libere e aperte.
Credo di essere facile profeta nel ritenere che l'open source sarà uno dei motori dello sviluppo economico europeo nei prossimi anni.

1 commento:

laba.biz/blog ha detto...

Ubuntu sta diventando veramente USABILE e potrebbe essere interessante provare ad introdurla anche nei nostri ambiti didattici...