martedì 13 novembre 2012

Assegnati i grant di Working Capital

Qualche anno fa (diciamo più di venti, così non faccio capire quanto sono "maturo") fui un aspirante startupper, anche se allora non si chiamavano così: studente di agraria ebbi l'idea di raccogliere serie storiche di dati di diversa natura (da quelli meteorologici, ai prezzi di mercato di prodotti, sementi, concimi e antiparassitari e così via) per poter predire quali colture fosse conveniente seminare per massimizzare i profitti. Ci feci sopra un progettino per rendermi conto che, dati i tempi (Internet non era praticamente ancora arrivato in Italia, e Sir TIm Berners Lee doveva ancora inventare il web), reperire i dati non era certo facile, anzi era un lavoro decisamente al di là delle mie risorse sia fisiche che economiche: già, perché anche allora non era certo facile reperire finanziamenti ... per un istituto bancario la frase "rischio d'impresa" allora equivaleva a una bestemmia (come? anche adesso è così?) e di finanziare chi era ricco solo di entusiasmo e di idee non se ne poteva neppure parlare.

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mercoledì 3 ottobre 2012

Il tempo del raccolto si avvicina

--> Nello scorso mese di maggio, in un post, spiegavo il concetto di “rainforest” applicato ai distretti tecnologici dove le startup crescono e si sviluppano, oppure, in certi casi, come succede in Natura con le modifiche evolutive non vantaggiose, scompaiono, dopo aver, comunque, lasciato in eredità un'idea. Nello stesso post davo anche la notizia che Working Capital di Telecom Italia metteva in palio 20 grant da 25.000 euro per premiare i progetti dei settori Internet, Digital e Green più interessanti. Pur non essendo un esperto di venture capital, come Horowitt e Hwang, ideatori del concetto di “rainforest”, voglio lanciarmi anch'io in una metafora: Working Capital come humus nel quale piantare i semi delle idee da coltivare, per raccogliere startup in grado di creare innovazione e produrre reddito.
Alla chiamata di Wcap hanno risposto più di mille aspiranti startupper che, con entusiasmo, hanno proposto il proprio progetto nella speranza di aggiudicarsi uno dei grant in palio: un successo che forse è andato al di là delle aspettative dei promotori. Mille e più progetti presentati in circa quattro mesi, provenienti in massima parte dal mondo dell'Università, da studenti e dottorandi, ma anche da professori, a riprova che il capitale umano degli atenei italiani non ha nulla da invidiare a quello di altri Paesi. Spero vivamente che i più brillanti di costoro non si stanchino delle lungaggini burocratiche, delle tassazioni eccessive e della propensione delle italiche banche a finanziare solo chi non ha bisogno di soldi, trascurando chi è ricco solo di idee, e, quindi, non decidano di andare a mettere a profitto le proprie inventiva e creatività all'estero.
Terminata la semina, all'inizio del prossimo mese di novembre WCap raccoglierà i frutti della sua iniziativa, indicando i vincitori dei 20 contributi.
Con curiosità resto in attesa di conoscerli ...


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venerdì 18 maggio 2012

I grant di ricerca di Working Capital, un'occasione per chi ha idee


La foresta pluviale, in inglese “rainforest”, è un ecosistema che racchiude i 2/3 di tutte le specie viventi, animali e vegetali, del nostro pianeta; la pressione ambientale è molto forte e le specie viventi possono trovare grandi opportunità per nascere ed evolversi. In modo del tutto simile, in certi distretti umani, e il primo che viene alla mente è la californiana Silicon Valley, si assiste a un fenomeno affatto simile dove a comparire non sono nuove specie di rane, coleotteri od orchidee ma aziende, basate sulla geniale, e a volte visionaria, intuizione dei loro fondatori.
Su questa osservazione, Greg Horowitt e Victor Hwang, esperti di venture capital, si sono lanciati in una metafora: la Silicon Valley come la foresta pluviale, ambiente caotico e confuso ma, proprio per questo, vitale e stimolante per la nascita e lo sviluppo di nuove aziende; è l'assenza di barriere, non economiche ma sociali e di fatto, ad abbattere i costi di transazione e a favorire gli scambi e, quindi, la vitalità imprenditoriale. Certamente qualche scettico può sostenere che è una bella teoria molto americana, ma in Italia la situazione è diversa, così come è diversa la mentalità e numerosi sono gli ostacoli di natura burocratica, amministrativa e fiscale, per non parlare degli investimenti iniziali, che sono difficilissimi da ottenere; la realtà del nostro Paese è tale che obiezioni di questo tipo sono all'ordine del giorno.
Dal punto di vista burocratico-amministrativo non si può far molto, ma per quello che riguarda il finanziamento alle idee c'è una grossa opportunità: Working Capital di Telecom Italia mette a disposizione 20 grant di ricerca, da 25.000 euro ognuno, per premiare i venti progetti, della durata di un anno, più brillanti connessi al mondo digitale; chiunque può proporre la sua idea e incrociare le dita. Per partecipare occorre registrarsi al sito www.workingcapital.telecomitalia.it, scaricare il kit per proporre l'idea e caricare il progetto dettagliato entro l'11 luglio 2012. I primi 5 grant di ricerca scelti saranno premiati la terza settimana di luglio. In bocca al lupo a tutti.
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martedì 2 novembre 2010

I Nemici della Rete

Questo è un libro che non dovrebbe mancare nella biblioteca di ogni netizen. Scritto a quattro mani da Arturo Di Corinto, ricercatore e docente alla Sapienza, consulente della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell'Onu, autore di numerosi saggi e articoli per “Il Sole - 24 ore”, e Alessandro Gilioli, giornalista del "L'Espresso" e titolare del blog "Piovono rane", affronta, con ricchezza di documentazione e casi di studio, lo stato di arretratezza nella quale versa la Rete italiana, sospesa tra l'ignoranza, la supponenza e l'incapacità di comprensione di una classe politica inadeguata e inefficiente, come poche al mondo, e l'arrogante pretesa di bloccarne o ritardarne lo sviluppo per favorire altri media, sia per tutelare gli interessi economici del Presidente del Consiglio, sia per limitarne la forza dirompente di strumento di libertà.

Il libro mostra che il re è nudo, evidenziandone i lampanti conflitti di interesse, ma anche che l'opposizione non è certo più vestita, quando alcuni dei suoi principali leader dichiarano di avere più a cuore lo sviluppo di distretti piccoloindustriali (che da una Rete forte e diffusa avrebbero solo da guadagnare) o dimostrano di non aver capito che non esiste un “popolo della Rete”, virtuale e costituito da pallidi ectoplasmi che si abbronzano alla fioca luce del monitor, che non si sa come raggiungere né chi e cosa rappresenti. Parlare di “ popolo della Rete” ha senso come descrivere il “popolo di chi frequenta le palestre” o il “popolo di chi esce di casa alle sette di mattina”. È un modo semplicistico e qualunquistico per descrivere un fenomeno che non si conosce e non ci si sforza di avvicinare. Il “popolo della Rete”, tanto caro a politici e giornali in vena di approssimazione, siete tutti voi che state leggendo questo post, sono io che l'ho scritto, sono le persone reali, con gioie e dolori, debiti e problemi, che frequentano una Rete legata a connessioni obsolete, castigata da un immeritato divario digitale, frequentata da santi e malfattori, esattamente come il mondo reale, ma capace, tuttavia, di generare i suoi propri anticorpi.
La Rete fa paura al Presidente e ai suoi uomini, arroccati nella difesa di aziende televisive ed editoriali, perché è l'unico medium che vede aumentare i propri introiti pubblicitari e, soprattutto tra i giovani, mostra di avere un fascino ben superiore alla televisione.
La Rete è boicottata dai suoi gestori, che si devono rifare dei costosi investimenti fatti su tecnologie obsolete: non credo sia un caso che il principale fornitore di connettività italiano condivida la proprietà con il principale produttore di cavi.
La Rete è percepita dai nostri governanti non come un diritto inalienabile di tutti, ma come una graziosa concessione, come se vivessimo ai tempi di Maria Teresa d'Austria e dell'Illuminismo, e questo nei giorni nei quali l'Unione Europea e alcuni stati nazionali sanciscono l'inalienabile diritto dei cittadini, di tutti i cittadini, ad avere un'efficiente connessione a Internet.
La Rete fa paura ad alcune categorie professionali e imprenditoriali, che non sanno come fare affari su di essa e hanno il timor panico di veder erodere, fino alla scomparsa, rendite di posizione ormai anacronistiche e immotivate; i giornalisti meno avveduti e lungimiranti, poi, lungi dal capire le enormi potenzialità del web, pensano alla iattura di un'informazione libera e diffusa, nella quale tutti siamo produttori e consumatori di contenuti e notizie.
Infine della Rete fa paura la Libertà, di comunicare, di creare anche riutilizzando l'esistente, di scambiare notizie e informazioni, fa, in poche parole, paura tutto, come se ci si trovasse di fronte a un mostro dalle mille teste pronto a distruggere chiunque gli si accosti.
Nessuno si sforza di capire che la Rete è vitalità, velocità, una sorta di Zang Tumb Tumb futurista, ragnatela lungo i fili della quale corrono, in egual misura, creatività e sviluppo economico. Stando così le cose nel breve-medio periodo siamo destinati a diventare un paese da Terzo mondo, non solo per quello che riguarda la connettività alla Rete, ma anche lo sviluppo economico, sociale e culturale che a essa segue.
“I Nemici della Rete” è un libro polemico ma non settario, che evidenzia contraddizioni e meschinità, bizantinismi e piccinerie al limite del grottesco quando, ad esempio, si cerca di far passare come provvedimento contro la pedofilia on line una misura illiberale che, a scavare un po', mostra il volto dell'industria dell'intrattenimento, che si ostina a considerare furto quello che chiunque chiamerebbe condivisione, o le regole che, con la pretesa di combattere il terrorismo, impediscono la diffusione della connessione senza fili a banda larga.
Un orizzonte cupo dunque, da cyberpunk gibsoniano? No, l'Italia, come il solito, si mostra migliore di chi la governa e Arturo e Alessandro concludono il libro con pagine di ottimismo, nemmeno tanto cauto, e parole di speranza, descrivendo realtà giovani, coraggiose e consapevoli che lavorano, pur tra mille laccioli e difficoltà, per creare un futuro migliore per tutti.
“I Nemici della Rete” è un libro che va letto, prestato, diffuso e discusso per aumentare il livello di consapevolezza di tutti.
Mi piace concludere con una frase, ripresa dal libro, pronunciata Lawrence Lessig il 16 marzo 2010 a Montecitorio: “La guerra a internet è una guerra contro i nostri figli”; ne stiamo già facendo tante di guerre ai nostri figli: depauperamento delle risorse, inquinamento, debito pubblico ciclopico … non lasciamo loro in eredità anche questa.

Buona lettura.

La scheda del libro si può trovare qui:
e qui:

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sabato 1 agosto 2009

OpenMind 2009 in archivio

Si è conclusa nei giorni scorsi l'avventura della quarta edizione di OpenMind, tre giorni dedicata al software libero e all'informatica consapevole. La manifestazione, organizzata dall'associazione omonima, si è tenuta a San Giorgio a Cremano (Na), nei prestigiosi locali di Villa Vannucchi e ha visto un buon afflusso di pubblico, soprattutto giovani e giovanissimi delle scuole cittadine. Giovedì 28 maggio l'apertura della manifestazione, alla presenza del sindaco e del vicesindaco della città, che hanno rivolto il loro saluto ai partecipanti e agli organizzatori.
La tre giorni vesuviana è stata un'ottima occasione per educare i ragazzi in età scolare all'uso consapevole del computer; il software libero è stato visto anche, ma non solo, nell'ottica di un'educazione alla legalità: perché usare software dei quali non si detiene la licenza d'uso, invece di software liberamente distribuibili e gratuiti? Perché alimentare un mercato parallelo e clandestino, che fa della contraffazione un lucroso affare, quando è possibile usare prodotti assolutamente analoghi, sia come prestazioni che come qualità, a quelli contraffatti, ma a norma di legge?
Una parte del lavoro educativo, con largo uso di programmi didattici free, è stata compiuta da bambini della classe seconda C del 3° circolo di San Giorgio a Cremano che, per tre giorni, hanno indossato un cappellino giallo e la maglietta blu della manifestazione e hanno spiegato a loro coetanei, ma anche a ragazzi più grandi, cos'è il free software, distribuendo Cd contenenti il sistema operativo Gnu/Linux e altri programmi liberi. Oltre al laboratorio 6+ (così si chiamava l'area nella quale operavano i baby formatori), la manifestazione ha riservato uno spazio anche ai nonni: nel laboratorio 60+, infatti, sono state tenute conversazioni a tema, volte a illustrare i primi rudimenti dell'uso del computer a chi ha raggiunto e superato i sessant'anni. I capelli bianchi non devono essere un limite all'alfabetizzazione informatica e, in quest'epoca di baby sitter elettroniche, un nonno in grado di sapersi arrangiare con il PC e Internet è una preziosa risorsa, sposando l'esperienza alla tecnologia. Un terzo laboratorio, infine, era rivolto ai ragazzi delle scuole superiori: qui si mostrava come è possibile realizzare grafica a livello professionale usando software liberi, in grado di fornire prestazioni assimilabili a quelle dei programmi a pagamento più conosciuti.
Oltre ai laboratori sono state tenute anche alcune lezioni tematiche, riguardanti la sicurezza della navigazione sul web e la prevenzione dei reati informatici, a cura della Polizia Postale, e l'uso di software di virtualizzazione in ambiente Gnu/Linux, che hanno visto una partecipazione vivace e attenta.
Fiore all'occhiello della quarta edizione di OpenMind è stata la sala dedicata al retrocomputing, una sorta di archeologia informatica: qui facevano bella mostra di loro alcuni pezzi che hanno fatto la preistoria della diffusione dei computer, come uno Spectrum Zx, un paio di Commodore 64, un Amiga, un Apple McIntosh; completavano l'esposizione schede perforate, banchi di memoria, pezzi di PC di epoche diverse, software originali degli anni Ottanta e Novanta e, per la meraviglia dei visitatori, alcuni floppy disc da cinque pollici e un quarto e da otto pollici.
A concludere l'offerta formativa della manifestazione un percorso guidato nel quale alcune schede illustravano la differenza tra software libero e proprietario e ne ripercorrevano la storia.
Un ultima notazione “ecologica”: le macchine usate nei laboratori 6+ e 60+ erano vecchi computer dismessi e riportati all'efficienza e a una nuova vita dall'associazione OpenMind, a dimostrazione che l'informatica consapevole passa anche attraverso un oculato uso degli strumenti a disposizione, che possono essere utilmente impiegati nonostante siano stati considerati obsoleti: un po' di manutenzione, qualche trapianto e l'impiego di software libero possono restituire loro l'antico splendore.
Pubblico soddisfatto, organizzatori pure … appuntamento alla quinta edizione, con la speranza, nemmeno tanto nascosta, che alcune idee seminate a OpenMind 2009 germoglino e diano frutti nei prossimi mesi. Arrivederci all'anno prossimo.

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domenica 9 novembre 2008

Recentemente ho pubblicato anche ...


Rassegne pubblicate su Liquida Magazine:
16 ottobre: Arrivano i videogiochi creati con YouTube alcuni utenti smanettoni di YouTube, sfruttando la possibilità di inserire nei filmati annotazioni e commenti, hanno trovato il modo di creare dei videogame, dei TubeGame, ci si passi il neologismo. Un viaggio tra alcuni dei meglio riusciti tra questi atipici videogiochi e tra le relative reazioni della blogosfera
18 ottobre: OpenOffice, la nuova versione dell’alternativa gratuita ed open a Microsoft Office il progetto, giunto ormai al suo ottavo anno di vita, è nato per iniziativa della Sun, che ha reso pubblico e libero il codice sorgente di StarOffice.
23 ottobre: Second Life è morto? Forse no Dopo anni da fenomeno mainstream, oggi Second Life appare in crisi, tanto che c’è chi si preoccupa per lo stato di salute del più famoso mondo virtuale. Un approfondimento con le opinioni della blogosfera.
27 ottobre: The Linux Day after, le reazioni della blogosfera Abbiamo cercato nella blogosfera impressioni a caldo sull’ultimo Linux Day. Ecco il resoconto di una manifestazione di successo.
31 ottobre: Riprende il volo Italia.it, lo “scandalo italiano” del Web In occasione dell’ultimo SMAU l’annuncio del ritorno di Italia.it, il portale che avrebbe dovuto promuovere l’attività turistica italiana. La presenza di numerosi bug, di accertate vulnerabilità ad attacchi di tipo Cross-site scripting e le notizie circa il costo dell’opera (45 - 58 milioni di euro) avevano portato ad un movimento di protesta e alla sua chiusura. Le opinioni della blogosfera.
3 novembre: La blogosfera e la mania dei Facebook party Si moltiplicano i Facebook party, eventi per conoscere nel mondo reale i propri contatti di Facebook. In Italia il primo incontro di questo tipo risale, probabilmente, allo scorso 16 luglio, quando a Milano, presso il Bar Bianco del Parco Sempione, migliaia di iscritti al social network bianco e blu si incontrarono. Ecco tutta la storia e le opinioni della blogosfera.
5 novembre: Si apre il sipario su Windows 7: novità in vista Nonostante la giovane età di Windows Vista, Microsoft pianifica già il rilascio di una nuova versione del suo sistema operativo. Ecco tutte le anticipazioni su Windows 7 presentate al Professional Developer Conference di Los Angeles con, come sempre, i pareri della blogosfera.


Post pubblicati su TuxJournal:
14 ottobre: Installazione OpenSuse 11.1 Beta 2 passo dopo passo descrizione dell'installazione della seconda beta release della nuova distribuzione GNU/Linux di OpenSuse
20 ottobre: La prigione dorata di Mac OS X il sistema operativo dei computer della Apple è blindato, come molti altri prodotti della casa di Cupertino
24 ottobre: Il Venezuela adotta il formato ODF la repubblica sudamericana aderisce alla comunità dei Paesi che adottano lo standard documentale libero
5 novembre: Google Chrome: per Linux proviamo CrossOver Chromium prova su strada del browser di Google in ambiente GNU/Linux
6 novembre: Con il software libero si può fare business il software libero non è gratis e offre interessanti possibilità di sviluppo economico

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lunedì 3 novembre 2008

Open Source in Europa e negli USA: due mondi a confronto


Dal 21 al 24 settembre scorsi si è tenuto, a Parigi, l'Open Source Think Tank Europe. Definire semplice conferenza un think tank è riduttivo: si tratta, infatti, di un “serbatoio di pensiero”, nel quale più persone, indipendentemente dalle loro propensioni politiche o ideologiche, si occupano essenzialmente di produrre informazioni oggettive e previsioni da analizzare per studiare l'andamento di un fenomeno. Sarà, poi, compito degli analisti trarre le conclusioni del lavoro scaturito dal “serbatoio”.
Ospite e osservatore di questo evento è stato Larry Augustin, del quale ho parlato in un mio recente post; due parole possono descrivere il personaggio meglio di una biografia: Sourceforge.net. Larry, infatti, è il cofondatore di Sourceforge, ossia del massimo deposito mondiale di software libero e aperto. Attualmente si occupa di venture capital e siede in numerosi consigli di amministrazione di aziende che producono software open source.
Nel suo blog, Larry descrive quelle che sono le principali differenze tra la percezione che si ha del software open source in Europa e negli Stati Uniti; le sue impressioni, che non hanno alcuna pretesa scientifica, sono derivate dall'esame di numerosi punti di vista, e sono ricavate dalle opinioni di un gran numero di partecipanti all'evento parigino.
Innanzitutto, perché adottare software aperto? Gli Americani, nel loro pragmatismo, ne fanno una questione di costi, mentre in Europa si cerca di evitare un produttore che possa imporre tecnologie proprietarie e chiuse. Così nel Vecchio Continente le linee guida che portano alla realizzazione di software open source commerciali sono legate alla creazione di un'industria del software indipendente dalle grandi software house del Nuovo Continente, mentre negli Usa è la disponibilità di quantità di capitali di ventura che porta al nascere di realtà open source. Ricordo, incidentalmente, che il fatto che un software sia libero e aperto non implica che sia gratuito: è infatti la licenza che non costa nulla, mentre i servizi aggiuntivi possono essere a pagamento.
Da questo diverso atteggiamento deriva, probabilmente, la chiusura europea alla brevettabilità del software, considerato, a mio avviso giustamente, opera d'ingegno e, in quanto tale, non brevettabile. Non dimentichiamo, infatti, i diversi e reiterati tentativi lobbistici per spingere l'Unione Europea a instaurare un sistema di brevetti sul software. Ma questa è un'altra storia, che esula dal tema odierno.
Continuiamo nella disamina delle differenze; anche nell'uso di un sistema a doppia licenza Europei e Americani si dividono: per i primi, infatti, non siamo di fronte a un vero prodotto aperto, ma solo a un mezzo per fare marketing e pubbliche relazioni, mentre di là dall'oceano è considerato il più comune modello di business per il software open source. In questo caso la posizione europea mi sembra sia più integralista di quella americana: un esempio, forse, potrà meglio chiarire il mio pensiero. Sun Microsystem ha acquisito, nella scorsa primavera, la Innotek, azienda tedesca produttrice di VirtualBox, software commerciale di virtualizzazione. Di questo prodotto ne esistono due versioni: una, proprietaria, che è gratuita per studio e uso personale, e una libera, assoggettata alla GNU GPL, sprovvista di alcune funzionalità (la prima che mi viene in mente è il mancato supporto alle periferiche USB). Questa politica della doppia licenza è preesistente all'acquisizione a opera di Sun, quindi è probabile che la versione commerciale fosse la principale fonte di sostentamento economico di Innotek, senza la quale, forse, sarebbero mancate le risorse per la realizzazione della versione libera.
Anche sui canali di vendita le due sponde dell'Atlantico divergono: gli Europei pensano che il principale strumento di commercializzazione sia il canale dei rivenditori, mentre gli Americani prediligono la vendita diretta; vendita sì, ma di cosa? Per gli Europei il core business deve essere basato sulla fornitura di servizi e supporto all'installazione e all'uso, quindi su formazione, customizzazioni, realizzazione di soluzioni integrate, manualistica e simili. Le aziende statunitensi, invece, non credono molto nella fornitura di servizi e preferiscono focalizzarsi sul prodotto, con la commercializzazione di estensioni proprietarie, e quindi closed source, o la realizzazione di versioni enterprise affiancate a quelle libere.
Anche le aspettative su prodotti software open source sono diverse: in Europa un produttore di software aperto rilascerà solo codice open, affidando la gestione del reticolo degli sviluppatori a una comunità di supervisione, mentre negli Usa non sarà necessariamente così, coesistendo, nella stessa azienda, software liberi e software proprietari; il coordinamento dei progetti sarà affidato alla direzione commerciale.
Non dimentichiamo, infatti, che il software open è realizzato, migliorato e aggiornato da comunità di sviluppatori, anche di grandi dimensioni. Molti di questi sono volontari, molti altri sono stipendiati dalle aziende; in tutti i casi, per evitare l'anarchia, è necessario che ci siano delle linee guida da seguire, anche se non sono disincentivate le iniziative individuali. Eric Raymond, in La cattedrale e il bazar, contrapponeva un modello di sviluppo gerarchico, tipico delle grandi software house (la cattedrale), a uno più reticolare, basato sulla creazione di comunità di sviluppatori che seguissero la realizzazione e lo sviluppo del software (il bazar). Il modello a bazar puro è, forse, troppo anarchico e, quindi, soprattutto nelle realtà maggiori e più complesse, è necessaria una comunità di supervisori che indirizzi lo sviluppo.
Dopo aver raccolto queste impressioni, Larry Augustin trae le sue conclusioni: l'Europa, ma anche il resto del mondo, hanno una concezione più avanzata della filosofia Open Source rispetto a quella americana. Negli Stati Uniti la natura aperta del software è quasi irrilevante nelle decisioni d'acquisto delle aziende, quello che conta è il costo. I compratori americani cercano il miglior rapporto qualità/prezzo; l'apertura del codice e la sua accessibilità non hanno, quasi, interesse.
In Europa il concetto è più raffinato: intendiamoci, non è che costi e prestazioni siano ininfluenti, ma si riconosce che è la natura aperta del software a permettere questi vantaggi.
Alle conclusioni di Larry Augustin vorrei aggiungere le mie: costi, prestazioni, indipendenza da soluzioni proprietarie, uso di formati standard, possibilità di accesso al codice sorgente e, perché no, anche sviluppo di risorse locali sono i principali motivi che hanno spinto, e spingono, numerose amministrazioni e aziende europee, sia pubbliche che private, all'adozione di software open source; tutti i giorni si ha notizia di nuove migrazioni, sia parziali che totali, a soluzioni software libere e aperte.
Credo di essere facile profeta nel ritenere che l'open source sarà uno dei motori dello sviluppo economico europeo nei prossimi anni.

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